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è ben certo che io son fatto per attendere
E vada come deve andare.
Aspetterò il Dolore supremo,
il Dolore sublime,
la Consolazione infinita.
Ma quale forza mi ci vorrà per attendere.
Dovrò tutto sopportare,
tutto soffrire,
senza conoscere né la vera gioia né il vero dolore.
La Mediocrità mi poggerà sul cuore il suo piede d’elefante
ed io non potrò neppure rifugiarmi nella speranza volgare della morte.
Infatti è ben certo che io son fatto per attendere senza tregua
e per rodermi nell’attesa.
Da più di mezzo secolo non sono stato capace di altro.
Che cosa sono le graticole e le corregge piombate
a paragone dell’ignominia comminatoria di una quietanza di fitto, per esempio,
o di una fattura di commerciante;
a paragone del fetore di una conversazione mondana;
della putrefazione contagiosa di un’anima borghese;
dei mortali effluvi delle strette di mano inevitabili?
Quali diaboliche atrocità di carnefici persiani o cinesi potrebbero eguagliare la lenta morte
provocata dall’imbecillità trionfante
o dalla disgustosa e sempre infallibile vittoria dei peggiori?
Infine come sopportare l’orrore di tutta l’anima avverso il sentimentalismo religioso,
sostituito dovunque alla Carità nelle pratiche più virtuose della parola o della letteratura?
Anche supponendo una media strettamente accettabile dei pensieri, dei sentimenti o degli atti intonati al secolo, come potremmo offrire codesta roba ad anime infinite che non dicono mai: «Basta» e che si conoscono figlie di Dio?
Attendiamo ad ogni costo,
trangugiamo tutto, ed altro ancora,
se il Paracleto lo domanda.
Sarà un buon allenamento per l’ebbrezza futura delle meravigliose Tribolazioni.
Leon Bloy, Nelle tenebre, L'attesa